
Dottor Fresi, lei parla sempre di emozioni ma tra queste ne tralascia sempre una: il disgusto. È casuale o c’è un motivo? «Potrebbe sembrare casuale, ma in realtà, come da sempre sostengo, la casualità non esiste. Da sempre il disgusto è associato a qualcosa di sporco o di eccessivamente strano, da cui allontanarsi. Al contrario di quello che capita agli animali che vedono proprio nell’allontanarsi fisico la loro sopravvivenza – pensiamo, per esempio al cibo avariato, ad animali predatori strani… -, noi abbiamo interpretato quell’allontanarsi non solo fisicamente, ma anche mentalmente, con il risultato che non siamo più riusciti a provare o a descrivere questa emozione.»
Perché ci siamo allontanati così tanto dal provare disgusto? «Il disgusto, a differenza delle altre, è un’emozione che non riusciamo a mascherare e che quindi ci espone al giudizio degli altri. È difficile nascondere, per esempio, che il piatto preparato con amore dalla mamma non ci piaccia o meglio “ci faccia schifo”. Possiamo facilmente fingere di non essere innamorati o di non essere tristi, ma sicuramente ci riesce impossibile non mostrarci disgustati per qualcosa o anche per qualcuno.»
Ho sempre pensato, e sono sicura di non essere l’unica, che provare disgusto per qualcuno non sia una cosa bella… «Certo! Perché lei, come tanti, fa il grande errore di confondere e mischiare i due aspetti, quello fisico e quello emotivo. Possiamo provare schifo, in quanto emozione involontaria, impulsiva e non controllabile, quando vediamo qualcosa che non è nella norma fisicamente parlando. Ciò, però, non vuol dire che possiamo generalizzare la stessa emotività riferendoci alla persona che mostra tale malformazione. Bisognerebbe imparare a controllare lo stato iniziale emotivo, vedendo l’insieme.»
Anche a lei che è un terapeuta è capitato di trovarsi in una situazione del genere? «Da quel che ne so anche i terapeuti sono umani, quindi provano tutte le emozioni. Guardando un video su malformazioni fisiche, per esempio, mi sono scoperto a esprimere, in prima battuta e involontariamente, questo stato emotivo riferendomi a una persona che presentava un difetto fisico. Subito, la seconda emozione provata è stata il senso di colpa per aver nutrito un sentimento di questo tipo verso una persona con malformazioni. La cosa mi ha dato da riflettere in quanto, come terapeuta, sostengo fortemente il bisogno di esprimere ciò che proviamo senza sentirci in colpa. Perciò credo che esprimere disgusto per qualcosa che non rientra nella norma, in questo caso fisica, sia innato quanto onesto. Diverso è invece il giudizio sulla persona che ha l’handicap. In quella situazione, non ho provato disgusto verso quella persona, ma una forte stima per la capacità di affrontare battaglie di questo genere.»
Quindi, come possiamo convivere con emozioni così diverse senza rischiare di essere giudicati di poca empatia e compassione? «Dobbiamo evitare proprio questo. Non dovremmo mai provare compassione per persone che nonostante abbiano un handicap non “valgono” né più né meno di noi, ma dovremmo sempre capire che tutto ciò che proviamo o pensiamo, seppur non coincidente, è naturale e sano, in quanto in un microsecondo il nostro cervello è chiamato a giudicare sia un aspetto psichico sia uno fisico. Accettare noi per primi, e gli altri di conseguenza, questi sentimenti in modo onesto senza sentirci in colpa ci aiuterà in futuro ad abbattere il muro di stigma e di chiusura che la privazione di alcuni stati emotivi normali ci ha portato ad alzare.»