Dottor Fresi, abbiamo letto di “Folle(mente)”. Ci spiega di che si tratta?
Folle(mente) è un macroprogetto che tende alla sensibilizzazione, all’educazione e al trattamento del disagio psicologico. In Italia abbiamo sempre più bisogno di abbattere, come già ricordato, il muro dello stigma legato a questo tipo di disagio. Poco importa che sia fatto attraverso la tv, la radio, le scuole, le aziende, con la classica psicoterapia o attraverso la ripresa divecchi canali comunicativi. Fondamentale, a questo punto, è parlarne affinché le paure da troppo tempo associate all’argomento “psico” siano abbattute.

C’è una derivazione di Folle(mente) che può essere maggiormente utile ai nostri lettori?
In tutti i precedenti articoli ho trattato sentimenti che stanno alla base delle problematiche della vita aziendale. Oggi invece vorrei parlare di come una tecnica che ha il suo core nella comunicazione possa essere utilizzata dai vostri addetti ai lavori, attraverso un percorso di formazione, per migliorare, a livello pratico, la qualità della vita dei clienti.


Qual è questo tipo di tecnica?
È quella del tatuaggio che, come sappiamo, da sempre è stato utilizzato dall’uomo per comunicare una
storia, un’emozione e perfino per educare (si noti il dato che in Italia, nel 2015, i tatuati erano sette milioni).


Come e dove si uniscono tatuaggio e psiche?
Si uniscono nel progetto “Punto a capo”, che vede attraverso la vecchia tecnica comunicativa del tatuaggio la possibilità di comunicare la fine di un malessere e l’intenzione di prendere attivamente le redini della propria vita, al fine di migliorarla.


Come si sviluppa nel concreto?
Soggetti che presentano alterazioni cutanee (incidenti, interventi, bruciature, tagli cesari, mastectomie, alopece ecc.) evidenziano alterazioni dello stato emotivo psicologico (ricordo del trauma, non accettazione dell’aspetto corporeo, dismorfofobie, difficoltà ad accettare i cambiamenti), che spesso
non svaniscono in seguito a interventi chirurgici classici non accompagnati da un supporto psicologico:
può cambiare l’aspetto fisico, ma se ciò non coincide con un cambiamento emotivo – il “punto di svolta”-,
allora il trauma resta. In questo caso, il tatuaggio, come copertura di traumi fisici, segna la voglia di
comunicare un cambiamento psichico attraverso un percorso emotivo.


In che cosa si differenzia questo tipo di tatuaggio da quello classico?
Prima di tutto gli operatori non sono semplici tatuatori, ma devono avere esperienza in una tecnica
chiamata tatuaggio paramedicale. Questo tipo di tatuaggio tiene presente non solo il tattoo dal punto di
vista artistico, ma anche le complicanze cutanee e di sterilizzazione che una possibile cicatrice porta con
sé. In aggiunta, il PDT (Pisco Derma Tattoo), tecnica da me ideata, vede processi, tecniche, tempi e figure
professionali differenti necessari – come essenziale è lo psicologo -, quando ci troviamo a dover fronteggiare un trauma che non ha solo carattere fisico ma anche psichico.


Quindi, in che modo tatuatori e personale estetico possono formarsi in tale tecnica?
Il progetto “Punto a capo”, che fino a oggi si è focalizzato a livello teorico, dal prossimo anno assumerà
valore concreto, anche grazie a un’azione di marketing capeggiata dalla dott.ssa Francesca Campioni, e pratico con l’apertura di scuole e strutture cliniche formate con la tecnica PDT, in cui grazie alla partecipazione di figure professionali differenti, come oncologi, dermatologi, psicologi e tatuatori paramedicali, il modo fisico e quello psichico si uniranno con stesso valore nel percorso di cambiamento necessario a chiunque abbia subito un trauma. Ecco come grazie a vecchi canali comunicativi, questi due mondi trovano un connubio essenziale e non futile in un’ottica moderna.